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(testo di Anna Maria Corposanto)

«Bisogna fare della propria vita come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui.» È un aforisma attribuito a Gabriele D’Annunzio, ma a leggerlo sembra disegnare il modello di un abito su misura per Alberto Criscione, autore delle sculture Agorà per la prima volta in mostra a Palermo il 20 marzo 2015.[:]

Queste opere segnano una mèta fondamentale nell’evoluzione personale e professionale di un artista che negli anni ha cercato, caparbiamente, il proprio segno distintivo, la sua particolarità stilistica.

Non è facile affrancarsi da un destino segnato nel nome, in questo caso Criscione. Alberto, sulle orme del padre Giuseppe, famoso e rimpianto presepista di Ragusa, è cresciuto nella tradizione delle ceramiche d’arte sacra. Nel rispetto e nell’ammirazione del lavoro paterno, ha imparato meticolosamente tutte le tecniche, e diremmo anche i tic, di un genere artistico che affonda radici nella cultura popolare del nostro paese. Ma poi, come ogni figlio che vuole essere artefice della propria vita, ha dovuto lottare contro se stesso per costruire e affermare la sua identità e autonomia. Non è mai un percorso facile e indolore per ogni creatura vivente, non lo è stato neanche per Alberto. Ma con il progetto Agorà, con le sue sorprendenti sculture, è avvenuto finalmente quel che accade a una farfalla quando esce dalla sua crisalide, libera di volare nella propria vita.

Le sculture di Agorà, a ben guardarle, ci raccontano storie di vita, delle nostre vite contemporanee. Attingono agli archetipi della cultura greca classica per narrare quel che siamo o che siamo diventati. Ha detto Alberto Criscione:

«Ho immaginato tante sculture legate fra loro come da un filo invisibile, come un corpo unico, però composto da tante sfaccettature. Dopo la progettazione disegnata sono passato alla modellazione dell’argilla. La struttura dei corpi, modellati con la tecnica del colombino, doveva richiamare gli Efori, avvolti in una veste, come in una crisalide. Mi interessava rendere l’idea di “tensione immobile”, perché è qualcosa che rivedo molto nella società contemporanea. Percepisco un sentirci bloccati, ma al tempo stesso un desiderio di libertà. Sono questi tempi oscuri a tenerci bloccati? O è forse una scarsa conoscenza del nostro corpo, del nostro essere umano e spirituale? Sono domande che rimangono in sospeso, in fondo questa serie di sculture vuole offrire uno spunto di riflessione utilizzando un archetipo antico, qualcosa che appartiene all’inconscio collettivo. Come la maschera teatrale, il rito del teatro, i canti in onore a Dioniso, le danze delle Menadi (o baccanti), “costrette” a danzare, nel mio caso, in un blocco d’argilla. Il senso di tensione è accentuato dalle crepe nell’argilla (volutamente lasciate in fase di modellazione) e dal colore, ingobbio (o engobbio) passato a pennello in maniera corposa.»

Il titolo di un articolo che Daniela Thomas ha dedicato al progetto Agorà di Alberto Criscione è “Parole di terracotta” e non poteva essere più calzante: queste sculture, nella loro apparente immobilità materica ci “parlano”, ci invitano a dare voce a quelle parole che abbiamo dentro e che facciamo fatica a trattenere, ma anche ad esprimere. Parole preziose e utili che servono per raccontarci, confrontarci, evolvere, a narrare storie che possiamo condividere con gli altri per sentirci liberi dalle zavorre che ci portiamo dentro, o da quelle che consentiamo agli altri di piantare dentro di noi.

È questa l’autorevolezza poetica delle opere di Alberto Criscione, e la loro straordinaria forza comunicativa non si piega neanche alla fragilità del materiale semplice e naturale di cui sono composte, l’argilla. E allora fa bene citare ancora Daniela Thomas, quando scrive che queste sculture «Sono anche fragili, e per questo bisogna custodirle, proteggerle, conservarle con cura, come si fa con tutte le cose preziose, come facciamo con la nostra stessa vita. »

Anna Maria Corposanto

Pubblicato su neu [nòi] – spazio all’arte[:]

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