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Si è svolta dal 28 settembre al 10 ottobre nel bellissimo atrio di Palazzo delle Aquile a Palermo.

Il palazzo, sede del municipio, si trova in piazza Pretoria – al secolo piazza Vergogna, per via della grande fontana in essa ubicata, corredata da moltissime sculture in marmo raffiguranti personaggi mitologici e storici, perlopiù ignudi.

Da qui deriva il nome della mostra Vergogna Ritrovata, ma anche da un concetto esteso alla società contemporanea, in cui provare vergogna per una malefatta è oggi cosa assai rara, soprattutto nelle sedi dove si esercita il potere.

A questo proposito, scrive Massimo Basso, ideatore (insieme a Luisa La Colla) di questa mostra:
Quando giudichiamo un comportamento reiterato moralmente riprovevole,
usiamo talvolta esclamare in modo sottrattivo, “non ha più vergogna!”
La vergogna, dalla sua etimologia, l’esposizione in pubblico,
era considerata come un sentimento atto a contenere i comportamenti
inadatti al buon equilibrio della comunità.

Oggi l’esposizione non la si teme più, anzi diventa un atto di valore
mostrare la propria trasgressione che in fondo rispecchia i desideri nascosti
di ciascuno di noi.
L’evento artistico può contribuire ad una coscienza collettiva di
condivisione nell’età della tecnica, alla riconquista delle qualità umane
negate alla macchina, riscatta l’uomo dalla “vergogna prometeica” e
possiede il potere di riportare l’uomo alla sua dimensione relazionale con
gli altri uomini proprio attraverso l’esposizione-senza-vergogna
dell’interiorità illuminata dell’artista.

Alla mostra Vergogna Ritrovata hanno aderito: Graziano Cecchini (alias Rosso Trevi), Momò Calascibetta oggi in tour con la sua mostra “Cenere”, la CuciArtista Angela Di Blasi, la coreana A Ri Kwak, Salvo Rivolo con una sperimentazione sul riuso , Antonio La Colla, Domenico Cocchiara e Giuseppe La Parola con opere legata all’accoglienza, Massimo Basso con installazioni meccaniche ed elaborazioni grafiche,  Alberto Criscione con il suo Minotauro.
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A proposito del Minotauro, riporto un testo di Alessandra Milione, che ha scritto una critica per ogni opera in mostra.

“IL FILO DI ARIANNA”

Frutto di un’ insana passione, come il mito stesso narra, tra Pasifae e il bellissimo toro bianco, il Minotauro dalle mostruose sembianze di metà toro e metà uomo, è un portento che viene isolato nel labirinto di Cnosso, costruito da Dedalo e allontanato dalla vista di tutti.

Il Minotauro è la storia di una emarginazione; cerca il suo tempo nella ferocia che lo incorpora; mangia fanciulli, il futuro di un regno; aspetta il momento e il modo per uscire da quel labirinto. Lavora ai ferri e cappio dopo cappio trama la sua stessa vita e la vita delle sue vittime.

Il Minotauro diviene così l’elemento da eliminare e con l’astuzia e con la forza. Il filo rosso di Arianna aiuta Teseo a ritrovare la strada d’ uscita dal labirinto, dopo aver ucciso il Minotauro, dopo aver ucciso le paure che da tempo attanagliano e tramano repressioni.

Ciascuno costruisce il proprio labirinto e nell’incontrare i numerosi ostacoli nel corso della vita, nel tentare di superarli ed uscirne fuori non si fa altro che iniziare un percorso di crescita e di miglioramento. L’avventura del labirinto simboleggia la morte, una discesa della vita verso il basso, ma con l’uscita vittoriosa si dà un’altra possibilità. Al centro del labirinto si incontra se stessi, il Minotauro, che spaventa, con il suo aspetto, la sua crudeltà.

É la realtà interiore che si vuole soccombere, perché peccaminosa, portatrice di vergogne celate o svelate, non ha importanza, ma la volontà è quella di uscire dal centro sconfiggendole. Ritrovare il tempo, permetterà di non finire tra le grinfie del Minotauro, ma poterne uscire salvi con astuzia e prudenza (Il filo rosso di Arianna).

Il Minotauro è la versione negativa dell’umanità, è il male da sconfiggere, ma il suo sacrificio genera vita. Esso è l’alter ego venefico, è la parte divorante dell’umanità che va, nonostante tutto, alla ricerca di un equilibrio, di una naturalezza.    

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