È stata inaugurata l’8 marzo e sarà visitabile fino al 24 maggio, la mostra Eleos – un grido per l’umanità, all’archivio storico comunale di Palermo.
Un luogo suggestivo, carico di storia e di memoria. Perfettamente connesso allo spirito del progetto, su cui io e Marco Cocciola abbiamo intensamente lavorato,
sia dal punto di vista concettuale che realizzativo.
Eleos è nato su input di Marco, a maggio dello scorso anno, cogliendo in pieno quel sentimento che da tempo covava dentro me, quello del dolore di fronte alla prevaricazione che da sempre viene perpetrata dai potenti, nei confronti degli ultimi della Terra.
Di fronte agli scenari terribili che vediamo, da spettatori inermi, le reazioni più comuni sono quelle di voltare la faccia dall’altra parte, cambiare canale, indignarci, oppure annullare ogni forma di sentimento, per non soccombere alla rassegnazione e all’irrilevanza.
Per uscire fuori da questa stagnazione, un’artista non ha altri mezzi se non quello della catarsi. Dare forma ai sentimenti per liberarsi dalla passività. Passare all’azione, in un momento così lugubre per l’umanità intera, è un primo passo per ribellarsi a ciò che di negativo vediamo intorno a noi.
È un modo per dialogare con quella parte conflittuale che è insita in ognuno di noi, perché è solo attraverso il dialogo che si può giungere alla pace.
Ogni essere che calca la Terra, porta con sé i segni della violenza. Tutti deteniamo le pulsioni dell’Eros e del Thanatos, ma finché scegliamo Eros e guardiamo Thanatos con la compassione che si deve a colui che è inconsapevole del proprio male, allora abbiamo ancora una possibilità di ritrovare l’umanità perduta.
Questo è ciò che credo profondamente ed è ciò che mi ha animato, quando ho realizzato queste sculture.
Questo è il motivo per cui ho affrontato un lavoro di mesi. Dedicandomi ad ogni scultura come se fosse un frammento di anima perduta, un bambino a cui tendere la mano, una donna anziana che ha perso tutto.
E per fare questo, potevo usare solo l’argilla, perché è l’emblema della Terra da cui ogni uomo nasce e a cui ritorna nell’ultimo giorno.
Perché la sua duttilità, accoglie tutti i sentimenti che le voglio dare, nel momento stesso in cui li sto provando e questi rimangono impressi, anche dopo la cottura.
La stessa patina che ho passato come finitura, è a base di argilla, per rimanere fedele a quanto espresso sopra, ma anche per evocare il colore della polvere.
Quel grigio in cui le vite di chi non conta nulla, vengono inghiottite.
Quell’unico calderone che noi, pigramente contiamo usando numeri approssimativi.
Un altro aspetto simbolico, non meno importante, su cui ho voluto lavorare è stato quello della ferita. Una traccia indelebile che ho marcato su ogni figura, dando forma alla pratica della violenza. In modo tale da enfatizzare la condizione di chi guarda la sofferenza altrui, cogliendone soltanto gli effetti, ma non le cause.
Destino di chi vive in una bolla, come colui che non ha mai conosciuto la guerra o una migrazione forzata.
In sostanza Eleos, per me è stato un lavoro che ha coinvolto la mente, il cuore e le viscere. Senza escludere nessun aspetto dell’essere umani.
Per ulteriori approfondimenti
Qui potete leggere l’articolo di Dorotea Rizzo per MOB magazine
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